Descrizione prodotto
Oggi che il basic ha sostituito il dialetto e il “paese” è diventato un “miraggio” al contrario, tanto lontano dalla nostra esperienza che a rievocarne le gesta – come ha fatto Luciano Caprile in questi racconti – ci vuole il coraggio di essere considerati inattuali, quali lettori possono ancora affascinare queste storie così vive, divertenti, ironiche o drammatiche, ma sempre guidate verso l’epilogo con accenti talmente “casti” e trattenuti da apparire ancora una volta inconsuete, in un panorama letterario che è pieno zeppo di libri scritti soltanto per provocare scandalo?
La risposta viene da sola, ad apertura di pagina. Con la sua scrittura senza intoppi, densa di vibrazioni affettive, partecipe alle vicende dei suoi “eroi”, ma contraria ad ogni sentimentalismo, Caprile ci ha regalato un “favoloso oggettivo”, che imprime il sigillo della verità assoluta anche a trame che per molti lettori – quelli cresciuti, appunto, nella civiltà dei consumi – potranno sembrare remote come una favola. L’effetto opposto prova, invece, chi di queste o di analoghe vicende è stato testimone diretto: a seconda della propria esperienza, ciascuno potrà percorrere questo libro davvero unico come un sentiero familiare o gustarne i frutti pieni di sapore sconosciuto. Ma c’è ancora dell’altro. Come tutti i narratori di razza, Caprile riesce a farci intendere molto più di quel che dice. Un cenno, un soprannome, un aggettivo al posto giusto e la carica della vita si sprigiona in tutta la sua varietà – dall’amore al rimpianto, dalla pietà all’avventura – anche dal più semplice e circoscritto dei microcosmi, come quello che emerge da queste storie: una Spoon River ligure, raccolta sulle alture di Quezzi – il borgo dei nonni paterni – con l’ombra di Genova o al massimo quella di Savona sull’orizzonte delle fughe più audaci.
Gli “eroi” di Caprile sono sempre turgidamente vitali. Conservano nel proprio cuore l’insindacabile fascino della schiettezza e, soprattutto, quella eterna capacità di meravigliarsi dela quale il nostro presente, sempre più confuso e massificato, sembra aver quasi perso ogni traccia. E’ a questo grigiore che essi oppongono la loro forza vitale, resa ancora più evidente dalla felice trascrizione visiva di Nani Tedeschi, che nella sua Cadelbosco, può ancora vivere e registrare, senza tradimenti, l’incontro tra umori del passato e realtà del presente: le sue tavole, così sapidamente vive, integrano il testo e vi aggiungono il fascino persuasivo della verità.
LUCIANO CAPRILE è nato a Genova nel 1941. Nella sua vita ha scritto molto di artee letteratura, su quotidiani come “Il Lavoro”, “Il Mattino”, “Il Sole 24 Ore” e ha collaborato a riviste come “Arte”, “Alfabeta”, “La Gola” e “Millelibri”. Molte le sue mostre curate per il Comune di Genova: “Carlo Carrà, disegni 1908-1928″ nel 1983, “Guttuso a Genova nel nome Della Ragione” nel 1985 e “Ugo Nespolo, la bella insofferenza” l’anno successivo.
NANI TEDESCHI nacque a Cadelbosco di Sopra (Reggio Emilia) nel 1938. Le sue immagini, dopo essere state ospitate per alcuni anni sulle pagine de “Il Corriere della Sera”, comparvero poi nell’inserto domenicale de “Il Sole 24 Ore” e nelle riviste “Millelibri”, “Amadeus”, “Salve”. La sua attività pittorica è stata evidenziata nel tempo da numerose esposizioni in spazi pubblici e privati di ogni parte del mondo. E’ morto nel 2017.
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