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Leggiamo dall’introduzione di Marco Sabatelli:”Queste pagine di ‘Beppin da Cà’ – deliziosa miscellanea di scritti apparsi in diverse epoche sulle colonne del quotidiano genovese ‘Il Lavoro’ – avrebbero dovuto essere precedute da un’affettuosa introduzione di Angelo Barile.
Ma il poeta di Albisola, il ‘ligure di vena più dolce’, ci ha lasciati prima di poter recare l’ennesima testimonianza all’amico e sodale che aveva saputo portare il verso dialettale ad altezze inconsuete e degne dell’antica tradizione ligustico-provenzale.
[...] In questi articoli, in questi bozzetti, in questi corsivi – balenanti quali rapidi ‘flashes’ di Leica su una Savona e su savonesi da tempo ormai scomparsi – lo aedo dialettal della vecchia città di Pancaldo e Chiabrera si esprime in lingua: ma l”animus’, l’atmosfera, l’ispirazione che lo guida, ci riconduce al mondo poetico del suo dialetto, di quel suo formidabile strumento d’espressione ch’egli maneggiava con la sicurezza e la disinvoltura del gran signore.
[...] Generoso prototipo d’aristocrazia popolana, fervido credente nelle idee maestre del secolo in cui era nato, stupendo ‘anarchico celeste’ rispettoso delle tradizioni in cui sua madre credeva, ‘Beppin da Cà’ ci offre in queste pagine sparse, un esempio del suo tenace, incrollabile attaccamento alle pietre ed alle memorie della sua città, ai caruggi ed al popolino, alle leggende marinare, alle manifestazioni religiose, ai ricordi di un’infanzia povera e felice.
Guardate come contempla la sua città dai varii colli; come sa parlare, lui popolano, degli amministratori patrizi che, un secolo addietro ‘divinarono’ la più grande città; come gli scomparsi ‘Cassari’ o la perenne via Pia, il Brandale e la Campanassa, Lavagnola e il pozzo del Duomo e le Pasque ed i Natali rivivono sotto i nostri occhi come se li avessimo conosciuti.
E poi ditevi che quest’uomo, vero ‘self-made man’, ha fatto sì e no le elementari, che è un ex-tipografo, che ha avuto tra i suoi amici i nomi più importanti delle arti e delle lettere di Liguria del suo tempo: e ditevi che fu un vero, grande, sincero poeta.
Ma fu, soprattutto, un uomo, nel senso più alto e nobile e severo che gli spagnuoli sogliono dare alla parola ‘hombre’.
Un uomo che potrebbe essere l’illustrazione di quell’assioma che lo scrittore ottocentesco Emilio De Marchi (da lui amato) foggiò tanti anni or sono: Il mondo ha più bisogno di uomini buoni che di uomini grandi’”.
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